Labubu Mania: il pupazzetto peloso che fa impazzire il marketing

Se ti è capitato di vedere orde di persone accalcate fuori da un negozio come se ci fosse l’ultima PlayStation in saldo, sappi che non è per tecnologia o sneakers.

È per un esserino alto quanto una lattina, pelosetto, con occhi da allucinato e un ghigno che sembra appena uscito da un film di Tim Burton. Si chiama Labubu. E no, non è uno scherzo. È una piccola creatura da collezione che ha acceso la miccia di una delle più incredibili case history di marketing degli ultimi anni. Perché dietro quei dentini aguzzi si nasconde una macchina perfetta, in grado di generare hype, vendite, fanatismo e – soprattutto – lezioni magistrali per chiunque lavori nel branding, nel retail o semplicemente voglia capire come si costruisce un culto contemporaneo attorno a un oggetto.

Cos’è Labubu? E perché tutti ne vogliono uno (o 37)?

La Labubu non è solo un giocattolo. È un simbolo di appartenenza, un totem culturale, un artefatto da collezione che abita l’incrocio perfetto tra arte pop, estetica da cartoon disturbante e cultura digitale. Nasce dalla mente dell’artista hongkonghese Kasing Lung, ed è prodotto dalla cinese Pop Mart, una delle aziende leader nel mondo dei “designer toys”.

Stiamo parlando di miniature in vinile vendute in “blind box”, cioè scatole opache in cui non puoi vedere quale versione del personaggio stai acquistando finché non la apri. Ed è proprio questo uno dei primi elementi di magnetismo: l’effetto sorpresa, la gamification dell’acquisto, la dinamica del “gioco d’azzardo emozionale” che crea attesa e coinvolgimento.

Ma la vera forza di Labubu non è solo nella sua forma o nel suo packaging. È nella narrazione costruita attorno al personaggio, nella scarsità programmata delle edizioni, nella community iper-engaged che lo circonda, e nella capacità del brand di posizionarsi esattamente dove sta crescendo la nuova domanda culturale: tra collezionismo digitale, identità visiva originale e un’estetica che fonde dolcezza infantile e inquietudine adulta.

Labubu è il figlio spirituale del creepy-cute, il prodotto perfetto per una generazione che vuole distinguersi anche attraverso ciò che colleziona.

La strategia vincente di Pop Mart: quando la psicologia incontra la plastica

C’è chi fa marketing con ADV da milioni, e chi lo fa mettendo in vendita un oggetto misterioso dentro una scatola sigillata. La seconda strada, come dimostra Pop Mart, funziona dannatamente bene. E non solo perché è più economica, ma perché attiva i meccanismi cerebrali più profondi del nostro comportamento d’acquisto.

  1. Blind box e l’effetto “sorpresa”

Le blind box sono un’invenzione geniale, e non solo perché creano collezionismo seriale. Il vero segreto sta nel fatto che trasformano l’acquisto in un atto carico di suspense. Quando compri una Labubu non stai semplicemente portando a casa un oggetto: stai partecipando a un rituale emozionale. L’incertezza su quale versione ti capiterà stimola la dopamina, la stessa sostanza che si attiva quando giochiamo d’azzardo o riceviamo notifiche sui social.

Questo rende ogni acquisto un mini-evento, una piccola esplosione emotiva, e innesca una dinamica perfida e geniale: se non hai trovato quella rara, ne compri un’altra. E poi un’altra. E poi magari decidi di rivenderne due per comprare quella “super-secret”. Un’economia parallela fatta di scambi, forum, aste, mercatini. Tutto generato da una scatola chiusa.

  1. Scarcity marketing: l’arte del “sold out”

Uno dei capolavori di Pop Mart è l’uso chirurgico della scarsità programmata. In un’epoca dove tutti cercano la massimizzazione delle vendite, loro fanno l’opposto: rilasciano pezzi in quantità limitate, con varianti super rare che diventano veri e propri “unicorni”.

Ogni collezione ha la sua “hidden edition”, la sua “chase figure”, cioè la variante che nessuno trova ma tutti vogliono. Questo stimola il desiderio a livelli patologici e trasforma ogni uscita in un evento. Il sold out non è un disguido logistico: è parte integrante della strategia di marketing, perché fa salire il valore percepito, genera FOMO e soprattutto trasforma l’acquirente in un cacciatore, non in un semplice cliente.

  1. Fashion + social media = benzina sul fuoco

Il terzo colpo da maestro è la capacità di Pop Mart di infilarsi perfettamente nella logica dei social media. Quando Lisa delle Blackpink viene paparazzata con una Labubu, il brand non ha bisogno di fare spot TV. Bastano quei pochi scatti per attivare milioni di fan, per alimentare hashtag, per far partire trend di unboxing su TikTok. L’intero universo della social proof diventa un ecosistema autoalimentato, dove ogni post, video o meme è pubblicità gratuita e potenzialmente virale.

Ed è qui che avviene la magia: il brand smette di comunicare in modo diretto e lascia parlare la propria community. Più efficace, più autentico, e decisamente più scalabile.

 

Il potere del “cute-creepy”

C’è qualcosa in Labubu che non ti fa dormire la notte. Ma non nel senso negativo. È un design che inquieta e conquista allo stesso tempo. Ha l’innocenza di un peluche e la follia di un villain da film gotico. E questa ambiguità è la sua arma segreta. In un mercato saturo di cose “carine”, Labubu ha deciso di essere anche inquietante. E nel farlo ha creato un’identità così unica da diventare riconoscibile a chilometri di distanza. Nessun algoritmo può ignorare qualcosa di così visivamente spiazzante.

Nel marketing moderno, dove tutto tende ad appiattirsi in una mediocrità rassicurante, essere divisivi è un vantaggio competitivo. Labubu non vuole piacere a tutti: vuole piacere tantissimo a chi ha voglia di qualcosa di diverso, di straniante, di originale. E nel farlo si garantisce una fanbase ultra-fedele, pronta a seguirla ovunque. Una lezione chiara: non devi piacere alla massa. Devi creare la tua tribù.

Labubu rosa - Marketing

foto presa dal web

Cosa insegna Labubu a chi fa marketing

 Lezione #1: Non vendere il prodotto. Vendi l’esperienza del prodotto

Il vero valore non è nel prodotto, ma nell’esperienza attorno al prodotto. Una blind box non è solo packaging: è attesa, ritualità, storytelling, hype. È un contenuto TikTok pronto all’uso, un momento socializzabile. Se vendi qualcosa – qualsiasi cosa – chiediti: sto solo offrendo un prodotto, o sto offrendo un momento da ricordare?

 Lezione #2: La community vale più della pubblicità

Pop Mart ha ridotto l’ADV classica puntando tutto su una community ossessionata, coinvolta, rumorosa. Gente che colleziona, scambia, crea contenuti, alimenta la leggenda. Il pubblico non è passivo: è protagonista. E quando la tua audience diventa parte della tua narrativa, hai già vinto la partita del brand building.

 Lezione #3: Il posizionamento è tutto

Labubu ha scelto una nicchia. Non cerca di piacere a tutti, non si adatta alle mode. Anzi, spesso le anticipa o le ignora. Questo è il potere del posizionamento identitario forte: filtri il pubblico, ma quello che rimane è leale, innamorato, pronto a combattere per te. È la differenza tra una marca e un culto.

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Il piccolo mostro che sussurrava ai marketer

Alla fine della storia, Labubu ci insegna una verità semplice ma potentissima: non vincono i prodotti più utili. Vincono quelli che ti fanno sentire qualcosa. In un mondo dove ogni categoria è iper-competitiva, non basta “essere bravi”. Serve emozionare, sorprendere, coinvolgere.

Puoi anche continuare a vendere taccuini, calzini o barrette di cereali. Ma se riesci a costruirci attorno una community, un’estetica distintiva e un pizzico di mistero… allora sì, anche per il tuo prodotto ci sarà qualcuno disposto a fare la fila. E magari anche un tatuaggio.

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