Instagram senza hashtag: la nuova era della SEO social

Gli hashtag non sono più i protagonisti di Instagram: la piattaforma li ha messi da parte per dare spazio a un approccio basato sulla SEO. In questo articolo analizziamo cosa comporta per i brand l’addio agli hashtag, come adattare la propria strategia su Instagram e perché ottimizzare nomi, bio, copy e interazioni diventa oggi il vero motore della visibilità.

Per anni gli hashtag hanno rappresentato un pilastro della strategia social su Instagram. Bastava inserirne una manciata sotto ogni post per guadagnare un incremento immediato di visibilità e raggiungere pubblici nuovi, spesso lontani dalla propria base di follower. Poi qualcosa è cambiato: l’uso smodato, gli abusi e la progressiva perdita di efficacia hanno indebolito questo strumento, fino ad arrivare al definitivo annuncio di Adam Mosseri, CEO di Instagram, che ne ha sancito la fine ufficiale. Non è la chiusura di un capitolo qualsiasi, ma l’inizio di una nuova fase, in cui la SEO, troppo a lungo relegata in secondo piano, si prende la scena anche sui social network.

Questa trasformazione non riguarda solo i professionisti del marketing, ma chiunque utilizzi Instagram per costruire la propria presenza online: dai creator ai piccoli imprenditori, fino alle grandi aziende. In altre parole, dire addio agli hashtag non significa perdere strumenti, ma sostituirli con strategie più evolute e più vicine al modo in cui, ormai, gli utenti cercano e scoprono i contenuti.

In memoria degli hashtag: tra nostalgia e realtà

Immaginiamo un funerale all’americana per salutare i vecchi “cancelletti blu”. La bara aperta, il pubblico che ascolta con rispetto e, dentro, gli hashtag che per anni hanno alimentato la visibilità dei brand. Eppure, dietro la vena ironica, c’è una verità innegabile: per molto tempo hanno funzionato. Usati bene, permettevano a un post di entrare nei feed giusti e di farsi notare da un pubblico altrimenti irraggiungibile. Certo, non mancavano gli eccessi, come aziende fuori contesto che infilavano #outfitoftheday nei post di frigoriferi pur di intercettare qualche clic, ma il loro ruolo non può essere dimenticato.

Col tempo, però, il loro potere si è affievolito. Gli utenti non cercavano più attraverso liste infinite di hashtag, ma si muovevano con logiche di ricerca più articolate, simili a quelle che usiamo ogni giorno su Google. In questo scenario, Instagram ha dovuto evolvere, abbandonando gradualmente uno strumento ormai anacronistico per favorire un approccio più mirato e intelligente. Per i brand significa un cambio di rotta importante: meno scorciatoie, più strategia.

SEO, SEO e ancora SEO: la nuova bussola dei social

Fare SEO su Instagram non significa trasformare i post in schede tecniche, ma imparare a parlare la lingua degli utenti e degli algoritmi. La piattaforma, infatti, ora premia contenuti che rispondono a query più specifiche, lunghe e naturali. Non si cerca più #ricettafacile, ma frasi complete come “ricetta facile per cena” o “idee veloci per pranzo estivo”.

Dal luglio 2025, inoltre, i contenuti pubblici dei profili business e creator vengono indicizzati anche da Google. Questo passaggio spalanca nuove possibilità: un post su Instagram può diventare un asset di lungo periodo e posizionarsi nelle SERP accanto a pagine web e articoli di blog. Per le aziende, significa che il lavoro fatto sulla SEO dei social ha un impatto ben oltre i confini della piattaforma, contribuendo alla reputazione e alla visibilità complessiva del brand.

Ottimizzare su Instagram, quindi, vuol dire pensare a ogni dettaglio: dalla scelta delle keyword nei copy alla struttura della bio, fino alla coerenza delle immagini. Una vera e propria strategia multicanale che supera la logica effimera dei trend e punta a costruire valore duraturo.

Nome utente e profilo: il biglietto da visita digitale

Il primo contatto con un nuovo utente passa spesso dal nome. Per questo, inserire keyword pertinenti già nel nome utente è una mossa strategica. Un esempio? Un SEO Specialist a Napoli potrebbe chiamarsi “marco.seospecialist_napoli”. Così facendo, non solo diventa facilmente rintracciabile da chi cerca un esperto in zona, ma comunica subito in modo diretto la sua identità.

Il nome profilo, invece, può essere ancora più chiaro e descrittivo. Formule come “Marco | SEO Specialist” funzionano perché eliminano ambiguità e rafforzano l’immediata comprensione da parte dell’utente. In poche parole, queste scelte aiutano sia gli algoritmi sia le persone a capire chi siete e perché dovrebbero seguirvi.

La BIO: 150 caratteri che contano davvero

La bio non è uno spazio decorativo, ma un micro–manifesto che racconta chi sei, cosa fai e perché un utente dovrebbe restare sul tuo profilo. In soli 150 caratteri bisogna trasmettere la value proposition del brand, inserendo keyword naturali che aiutino l’algoritmo a collocarti correttamente.

Qui non serve creatività fine a sé stessa: niente segni zodiacali, niente slogan vuoti, niente curriculum accademici. La bio deve essere concreta, strategica e chiara. Un buon approccio è indicare il servizio o il prodotto offerto, il target a cui ci si rivolge e concludere con una call to action netta. Questo piccolo testo diventa così un filtro naturale: chi lo legge capisce subito se siete ciò che sta cercando.

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Copy, grafiche e storie: il cuore della strategia

La cura del contenuto rimane il punto centrale. Scrivere caption ottimizzate significa inserire keyword efficaci già nei primi tre righi, così da catturare immediatamente attenzione e rilevanza. Ma non basta: occorre scegliere termini legati al contesto, osservare come comunicano i competitor e utilizzare la ricerca interna di Instagram per intercettare le keyword correlate più utili.

Le didascalie brevi spesso performano meglio in termini di engagement, ma devono essere incisive, chiare e immediatamente leggibili. Allo stesso tempo, le immagini e le grafiche non possono essere lasciate al caso: coerenza estetica, storytelling visivo e qualità professionale sono essenziali per rafforzare la percezione del brand.

Un dettaglio spesso trascurato è l’ALT text: descrivere con precisione il contenuto dell’immagine non solo migliora l’accessibilità, ma contribuisce anche alla SEO interna, rendendo i post più facilmente individuabili da chi cerca contenuti specifici.

Interazione: il nuovo motore della visibilità

Pubblicare senza interagire non basta più. Instagram, come molti altri social, premia i profili attivi e partecipativi. Rispondere ai commenti, gestire i DM, commentare i contenuti di altri utenti e ricondividere UGC nelle storie sono azioni che fanno la differenza.

Ogni interazione comunica all’algoritmo due cose: che il profilo è vivo e che ha un pubblico reale. Questo aumenta le possibilità di apparire nei feed giusti, rafforzando la visibilità senza ricorrere a trucchetti di un tempo come le liste infinite di hashtag. È un lavoro più impegnativo, ma infinitamente più efficace, perché costruisce relazioni autentiche e consolida la reputazione del brand.

Dalla fine di un simbolo all’inizio di una strategia

La scomparsa degli hashtag segna la fine di un’epoca, ma non deve essere vissuta come una perdita. È l’occasione per tornare a strategie più solide, in cui la SEO diventa parte integrante della comunicazione social e non un concetto confinato ai siti web. Instagram, come Google, si muove verso una logica di ricerca naturale e semantica: chi saprà adattarsi e ottimizzare in questa direzione sarà il vero vincitore.

Per affrontare questa transizione serve metodo, esperienza e una visione multicanale e se vuoi, noi le abbiamo tutte!

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